Smartworking & famiglia: come cambia la quotidianita’

Discontinuità spazio-temporale e incroci creativi, la casa è l’hub creativo dove convergono tutte le attività della famiglia e lo smartworking “forzato” si adatta alle esigenze della vita quotidiana.

Intervista a Dr.ssa Patrizia Martello

Docente di Sociologia dei consumi e della comunicazione alla NABA di Milano

Patrizia Martello, Docente di Sociologia dei consumi e della comunicazione alla NABA di Milano, spiega i trend dietro alla quarantena imposta dall’emergenza coronavirus.

Come la quarantena ha cambiato la percezione dell’ambiente domestico?

In questo momento la casa è diventata un ibrido metamorfico.

Dal punto di vista funzionale, la classica suddivisione casa, lavoro, tempo libero è collassata improvvisamente per tutti, in un’unica esperienza simultanea e molteplice, nello stesso spazio.

La casa non solo è diventata il grande o piccolo contenitore di tutto ciò che costituisce le nostre vite in questo momento, dalle faccende domestiche al lavoro, dal cucinare al praticare sport, ma è anche uno spazio che cambia continuamente destinazione d’uso e si trasforma, con nuove opzioni e impieghi estesi degli spazi, a seconda di bisogni diversi nei diversi momenti delle giornate. La stanza diventa ufficio, il salotto diventa spazio giochi, il corridoio la palestra, il bagno una spa, la cucina una panetteria, il garage un fab lab, in due parole, la casa diventa un vero e proprio total hub creativo.

La casa è simultaneamente una tana, protettiva e salvifica – oggi più che mai e letteralmente – e una casa aperta, virtualmente senza pareti, una open house connessa con il mondo esterno, grazie alla tecnologia che fa da vero ponte con il fuori, con gli altri e con le esperienze di consumo che si facevano tradizionalmente fuori casa e già da molti anni si stanno sdoppiando e spostando dentro casa.

Ci sono trend socio-culturali che raccontano di questo movimento dal fuori al dentro casa; si tratta del trend ‘in-sperience’ e di ‘outside-in’ che testimoniano stili di vita e di consumo con baricentro domestico, grazie anche a un mercato che sempre più offre prodotti e servizi che consentono di fare in casa quasi tutto quel che c’è fuori: dagli house concerts ai cuochi in affitto, dal training agli acquisti di qualsiasi cosa, dal cibo all’orto ai trattamenti estetici, un mondo di servizi on demand di delivery e le nuove culture del fai-da-te hanno trasformato le nostre case in fucine, fabbriche, negozi, spazi di entertainment e ogni altra cosa che vi venga in mente.

Quale impatto ha avuto sulle relazioni interpersonali?

Dal punto di vista delle relazioni interpersonali, in questo momento lo spazio domestico (home) è un generatore di nuove forme di socializzazione. Proprio perché la casa (house) adesso è l’unico luogo fisico che necessariamente deve contenere ogni nostra attività – e quindi diventa un iperluogo – una variabile critica importante sul percepito complessivo della casa e sull’esperienza lavorativa in particolare, è il rapporto tra numerosità dei metri quadrati e la numerosità e la natura del nucleo familiare che, in questa inedita circostanza, ci si ritrova intorno entro le stesse quattro mura.

E’ evidente la differenza di vissuti, di emozioni, di relazione, di possibilità creative e ed espressive, ma in fondo anche di pure dinamiche di convivenza, tra ‘famiglie ordinarie’, la famiglia tradizionale: coppia+figli/anche adottati, famiglie fusion, miste, che anche in Italia sono un fenomeno significativamente in crescita, la famiglia allargata, dilatata in orizzontale, la famiglia verticale ‘sandwich’, con 3 generazioni conviventi, le ‘fRamilies’, famiglie per scelta fatte di gruppi amicali o co-inquilini senza legami di sangue, le microfamiglie dei single, le small families, cioè i monogenitori con figli, le coppie senza figli, …

Quali sono gli effetti provocati dallo smartworking associato alla gestione della casa e della famiglia?

Il lavoro si è spostato con noi.

Lo smart working per molti era già una pratica diffusa, l’“ufficio” e quindi il lavoro era ovunque si volesse, in treno, al bar, in stazione o al parco pubblico, ma sempre all’interno di una scelta ben precisa che alternava gli spazi scelti e quelli dedicati al lavoro.

Ora non c’è più né la discontinuità spaziale, né quella temporale a scandire nettamente le attività.

È tutto un continuum, stratificato e amalgamato. Questo credo sia una tra le condizioni – in quanto diventate stabili e protratte – più inedite con cui fare i contri, nella difficoltà di trovare strategie personali ad hoc che ci aiutino a transitare da un ‘mondo’ all’altro.

La parola chiave di una sindrome emergente potrebbe essere ‘mentre’. Tranne i pochi che dispongono di ampi spazi domestici, con molte stanze dedicate o dedicabili ad attività familiari specifiche – gioco dei bambini/ragazzi, studio per lavorare – si pone comunemente la questione di chi fa cosa quando, con chi altro e per quanto tempo… il grande mostro da tenere sotto controllo è l’interferenza. Tutti abbiamo l’esperienza di momenti dedicati al lavoro in cui dagli schermi spuntano gatti, bambini, familiari che si affacciano e voci, suonerie, rumori … e oooops scusate.

La casa che sta adattando sé stessa a membri che praticano lo smartworking deve essere liquida e metamorfica. E dunque l’interferenza continua di ogni cosa con le altre, di ognuno con gli altri diventa elemento costitutivo, inevitabile con cui co-abitare.

In sintesi, lo smartworking ci costringe a un’organizzazione a matrice che prevede incroci creativi perché tutto funzioni. Sì perché ci sono i pasti, la spesa, le pulizie domestiche, le pause, il sonno, il tempo ‘libero’, insomma le esigenze di ogni membro di ogni tipologia di nucleo (tranne i single) da scoprire e capire e far collimare senza attrito con quelle di ogni altro.

Lo smartworking d’emergenza, che improvvisamente ci ha investiti, ha dimostrato in ogni caso come molte attività riescano di fatto a continuare senza grossi problemi con i collaboratori da remoto e non nello stesso spazio fisico dell’ufficio. Questo, pur nelle fisiologiche difficoltà di adattamento domestico di cui stiamo parlando, creerà le condizioni per un ripensamento dello spazio-tempo del lavoro.

Smartworking per gli adulti e homeschooling per bambini e ragazzi, come si inserisce il fenomeno?

A mio avviso un’altra questione importante è proprio quella della scuola. Improvvisamente, milioni di studenti, grandi o piccoli, si sono ritrovati a confrontarsi con un’esperienza totalmente inedita: fare lezione da casa, da soli, con una comunicazione mediata dalla tecnologia, senza il rapporto diretto con gli insegnanti.

Dato il digital divide che ancora esiste in Italia e riguarda sia le famiglie degli studenti che gli insegnanti, questa emergenza ha dato una spinta non troppo gentile ma utile per mitigare questo divario di dotazioni e know how digitali, costringendo tutti a darsi da fare, attrezzarsi e provarci, al meglio delle proprie possibilità, economiche e attitudinali. Nuove competenze cresceranno diffuse.

Come provare a trovare “spazi” propri per gestire eventuali ansie e preoccupazioni?

Parlerei di spazi e di tempi. O meglio ancora, di spazio-tempo.

Abbiamo improvvisamente tutto il tempo che abbiamo sempre desiderato, rincorso, sognato. Adesso ce l’abbiamo. Ma non abbiamo più lo spazio e la libertà di usarlo.

Viviamo un rovesciamento dell’esperienza di spazio e tempo rispetto alle nostre vite precedenti.

In questo nuovo ‘setting’ in cui dobbiamo vivere tutta le nostre vite fino a fine emergenza, un obiettivo che sta diventando ‘vitale’ è la ricerca di una TAZ: temporary autonomous zone, uno spazio temporaneamente autonomo, lontano metaforicamente o letteralmente dagli altri.

Serve una sorta di distanziamento sociale anche dentro casa. Sì, perché la sfida vera è riuscire a usare spazi comuni convertiti o convertibili a intermittenza a usi specifici secondo l’agenda dei singoli membri: ufficio, relax, gioco, convivialità, cibo, sonno, …

Per l’85% di noi, secondo una recente ricerca internazionale promossa da IKEA, è fondamentale avere un po’ di privacy associata a momenti di solitudine in casa, ma 1 persona su 4 ritiene di non averne abbastanza.

Dunque, un bisogno presente e non di facile soddisfazione per tutti.

Risulta importante per l’equilibrio psico-fisico di ognuno, ricavarsi momenti per sé stessi, per praticare qualsiasi cosa, compresi l’ozio, la noia, di cui andrebbero recuperati il portato benefico e creativo.

Un obiettivo all’insegna di una formula che potremmo chiamare ‘alone together’ che coniuga solitudine ricercata con convivenza forzata. E questa ricerca di spazio-tempo personale e personalizzato riguarda tutti i membri della famiglia, dagli anziani ai bambini.

Liberare tempo negli spazi consentiti è la nuova sfida per i nuclei familiari da due in su.

I dati delle molte ricerche che stanno monitorando i vissuti degli italiani ci raccontano della diminuzione della paura, della crescita di incertezza, preoccupazione e senso di vulnerabilità.

L’elaborazione di tutto questo ha a che fare con le diverse fasi del fenomeno pandemico e con le diverse attitudini ed energie di ognuno per trasformare la reclusione in un’occasione di evoluzione, di automiglioramento e di espressione del Sé. Quando prevale quest’ultimo approccio di self-betterment, allora si riescono a trovare strategie creative per ricavarsi propri spazio-tempi per praticare la solitudine fertile e la consapevolezza di ciò che stiamo vivendo.

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